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Ho scritto una sceneggiatura, e adesso? | #2 | Industria cinematografica

In questi articoli affronto finalmente una domanda che si ripresenta ciclicamente alla fine dei corsi di sceneggiatura o dei percorsi di tutoring / writing coach: “Ho scritto una sceneggiatura, e adesso?”

A partire da questa domanda propongo delle riflessioni, che spero siano utili, per gli sceneggiatori e le sceneggiatrici che vorrebbero vedere concretizzati i loro progetti e che vorrebbero intraprendere una carriera nel mondo della sceneggiatura.

Nel primo articolo abbiamo individuato il principio fondamentale: NON inviate le sceneggiature. Tenete per buona questa affermazione che verrà motivata nei prossimi articoli… ma adesso proseguiamo.

Il secondo passaggio fondamentale è liberarsi da un’idea, un’immagine mentale, che (nel contesto nel quale ci troviamo, ovvero il mercato dell’audiovisivo italiano) può fare più danni che altro.

L’idea è la seguente: ho un’idea geniale, propongo questa idea geniale a chi ha le risorse per realizzarla, tutti si rendono conto che la mia idea è geniale, la mia idea viene prodotta, la mia idea ha successo e tutti sono felici e contenti.

Concatenazione di pensieri che nell’ambito della sceneggiatura si traduce in questo modo: ho scritto una sceneggiatura geniale, faccio leggere la mia sceneggiatura ad una casa di produzione, la mia sceneggiatura viene prodotta.

Questa concatenazione di eventi, che apparentemente sembra logica, in realtà risulta del tutto irrealistica nel panorama italiano della cinematografia. I perché di questo paradosso sono tanti e per spiegarveli bene avrò bisogno ad un certo punto di chiamare in causa anche Marx, proprio lui Karl Marx, sì quello del comunismo.

Ma un passo alla volta.

Quella cinematografica è un’industria, giusto? L’industria si caratterizza per la suddivisione dei ruoli e delle mansioni. Un’industria mette in moto un processo produttivo complesso suddiviso da tante mansioni / azioni, e queste mansioni / azioni sono gestite da diversi professionisti. Si chiama suddivisione del lavoro. Si chiama specializzazione e professionalizzazione del lavoro. È ciò che permette di realizzare un’opera complessa, articolata e costosa come un film.

Per produrre un film c’è bisogno di qualcuno che si occupi di: sceneggiatura, pre-produzione, gestione finanziaria, casting, sartoria, attrezzeria, catering, trucco, effetti speciali, montaggio, …

Ora avete presente quei pesci che rimangono di piccole dimensioni o che crescono fino a diventare mostruosi a seconda dello specchio d’acqua nel quale si trovano? Non ricordo se erano i pesci rossi o i lucci… btw si tratta di una metafora, perché la stessa cosa avviene nell’ambito dell’audiovisivo. Le industrie diventano di piccole dimensioni o grandi a seconda del mercato nel quale si trovano ad operare.

Ora, immaginate che l’industria non sia grande, ma sia di piccole dimensioni a causa di un mercato che non è esteso e ricco di domanda, ma piuttosto ristretto e povero di risorse. Che cosa succede all’interno dell’industria ridimensionata?

Improvvisamente una serie di mansioni, che prima erano riconosciute e retribuite, decadono e vengono accorpate all’interno di altre mansioni. Nella piccola industria si fa sempre tutto, proprio come nella grande industria, ma con meno risorse.

Nel caso dell’industria cinematografica ridimensionata: chi si occupa di sceneggiatura diviene anche agente delle proprie sceneggiature, chi si occupa di regia si occupa anche del montaggio, chi svolge mansioni di produzione è costretto ad accorpare nel proprio ruolo mansioni di promozione. Delle mansioni scompaiono, la loro retribuzione scompare e i professionisti diventano un po’ meno specialisti e un po’ più tuttofare

Si passa dall’industria, all’impresa artigianale. Un’impresa più piccola, dove a volte ci si deve un po’ arrangiare.
Si diventa artigiani, artigiani della qualità ovviamente, ma pur sempre artigiani.

Nel concreto: l’industria grande è quella statunitense, francese, spagnola; l’impresa artigianale dove tutti sanno fare un po’ tutto è più simile a quella italiana.
In quest’ultimo contesto tra le figure professionali che più spesso saltano (o che direttamente non esistono) sono quelle degli agenti e degli sceneggiatori (spesso accorpati dalla regia). So di aver sfondato una porta aperta.

Per questo motivo per un* sceneggiatore / sceneggiatrice diviene difficile far arrivare la propria idea (o sceneggiatura) alle orecchie delle case di produzione in quanto mancano gli intermediari, ovvero i ruoli sono confusi e i professionisti interpellati spesso svolgono 3 lavori alla volta (2 dei quali non centrano con la professione che in realtà vorrebbero svolgere).

Inviate a la vostra sceneggiatura via email ad una casa di produzione con la quale vorreste collaborare. Chi la leggerà? Un produttore + regista + montatore che ha la testa su 5 progetti nei quali svolge diverse mansioni con diverse abilità? O forse una sceneggiatrice + amministrativa + distributrice che non ha tempo nemmeno per scrivere le idee che vorrebbe creare di suo pugno?

NOTA: e potrebbe andare anche peggio! Nella malsana idea in cui vi affacciaste al mondo del teatro, non trovereste un’industria. Non trovereste artigiani della qualità. Bensì trovereste la bottega dell’artista rinascimentale. Il genio senza confini che sa fare di tutto. Troverete il direttore artistico, che è anche regista, attore e produttore della propria rassegna e a volte si è anche drammaturgo. Il maschile universale è voluto. Sì, non ho tanti amici, LOL!

In conclusione: la vostra sceneggiatura dovrebbe leggerla un* professionista che si dovrebbe occupare di sottoporre le idee valide alle persone corrette. Quella persona non esiste.

“Ok, sto iniziando a deprimermi.”
“Se ti stai deprimendo vuol dire che ti stai inoltrando sul cammino della conoscenza.”
“Io preferivo la panchina dell’ignoranza, sinceramente.”
“E sai qual è la cosa buffa?”
“Spara.”
“Il peggio deve ancora venire”
“Grazie di cuore per quello che stai facendo,”
“Mi prendi in giro?”
“Sì.”

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