FilmSceneggiaturaIl potere del cane

Attenti al gatto

IL POTERE DEL CANE (2021) di Jane Campion

In questo articolo commento IL POTERE DEL CANE, in fondo troverete anche il link alla sceneggiatura originale, però prima una introduzione gattesca.

Se avete figlie o figli avrete sicuramente vissuto una situazione del genere.
La vostra creatura si è appena addormentata e finalmente potete dedicarvi alla vostra attività preferita: cazzeggiare (o suoi derivati).

L’adrenalina pervade il vostro corpo quando vi rendete conto che il vostro telefono cellulare con la suoneria in modalità “fai esplodere le vetrate” è rimasto nella camera del pargolo, assieme al pargolo che dorme.

Ed è in quel momento, quando siamo in preda alla paura più profonda che il nostro corpo reagisce istintivamente, come farebbe un animale. Con passo felpato da felino guardingo entriamo nella cameretta, disattiviamo la bomba sonora, e ce ne andiamo “desapercibidos” invisibili come un innocuo soffio di vento.

Siamo salvi grazie al nostro intuito felino. Fine dell’introduzione.

5 giorni fa ho visto “Il potere del cane” e solo ora ho aperto gli occhi su questo meraviglioso adattamento cinematografico a cura di Jane Campion.

Il film è una tragedia metafisica, un dramma sociale, un thriller psicologico, … e lo è in modo scaltro, impercettibile e istintivo come il passo di un felino.

Appena finita la visione, ho avuto la sensazione di aver visto una grande opera, ma non riuscivo a delinearne i tratti, a creare una cornice di quello che era accaduto.

Ero rimasto, a primo acchito, estasiato dall’intensità degli interpreti (Benedict Cumberbatch, Kristen Dunst, Jesse Clemons, …), dalla bellezza della fotografia, e dall’epica delle musiche. MA il vero trucco di magia, il vero movimento felino era altrove, era il ritmo delle scene.

Il centro di quest’opera, per me sta proprio in questo: nel ritmo.

Provate a pensarci. Chi è il/la protagonista del film?
La mia risposta è: non c’è un protagonista.
Allora è un’opera corale?
No, non è un’opera corale.

Il/la protagonista del film cambia in continuazione, da scena a scena. Prima è Phil, che soffre l’apatia e la distanza del fratello George. Poi è Peter deriso e bullizzato mentre serve i clienti alla tavola calda. Poi è George che capisce come emanciparsi dal fratello e dalla sua visione brutale del mondo… scena dopo scena il passaggio di testimone della narrazione passa da un punto di vista all’altro, ma la sceneggiatura e la storia non risultano frammentate, sia ha sempre un senso di unità e di compattezza, e questo perché il ritmo è abbassato al minimo.

Ed il ritmo, nel senso di “tempo”, è anche il vero protagonista a livello di tematica all’interno della sceneggiatura.

Il potere del cane è una potente e pervasiva metafora di un mondo antico ed ipocrita (il mondo dei Cowboy incarnato da Phil) che viene macinato e distrutto da un nuovo tempo, il tempo del capitalismo e della conoscenza tecnica (incarnati dal chirurgo Peter e dal capitalista George) che gli sopravviverà e lo schiaccerà, mentre Rose annega la sua disperazione bevendo i fondi di bottiglia (la domanda che vi porgo è: qual è il tempo di Rose?) .

Tutto si svolge sotto i nostri occhi, ma noi rimaniamo nel sogno, perché il gatto (Jane Campion) è più scaltro di noi. È entrato con passo lento nella stanza, ha disinnescato la bomba della storia frammentata incentrata sui dilemmi sessuali di Phil, e ci ha restituito la fotografia di una lotta tra diverse visioni del mondo (per chi mastica di filosofia, il riferimento è Gadamer).

—> a questo link trovate la sceneggiatura originale: vi suggerisco di leggere come è strutturata la scena 17. Già dall’intestazione della scena si nota come la sceneggiatrice è anche la regista. Le suddivisioni negli spazi sono imprecise e viene dedicata l’attenzione alle motivazioni interne dei personaggi più che alle azioni. Il tutto non è molto ortodosso, ma il risultato è comunque sublime.

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