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Io capitano di Matteo Garrone (2023) | Che cos’è il conflitto?

In questo articolo vi propongo alcune riflessioni nate dopo la visione di “Io capitano” di Matteo Garrone e in particolar modo sul ruolo del conflitto nella costruzione di una storia.

Una difficoltà che spesso emerge nei laboratori di drammaturgia e sceneggiatura è quella legata al conflitto. Che cos’è il conflitto? Come funziona? Come faccio a individuarlo all’interno della mia storia?

Il conflitto solitamente assilla i partecipanti e le partecipanti ai laboratori. Da dove deriva questa ossessione? E oltretutto siamo sicuri che sia un elemento fondamentale della costruzione di una storia? Che cosa è realmente il conflitto?

Proviamo a rispondere un passo alla volta.

Il conflitto è un concetto onnipresente nei manuali di teatro e sceneggiatura che ho incontrato lungo il mio cammino. Il conflitto viene definito dalle grandi autorità della scrittura drammatica (del ‘900) come la pietra filosofale della drammaturgia, capace di trasformare una storia priva di valore, in oro. Siamo sicuri che sia proprio così?

Prima rispondiamo ad un’altra domanda fondamentale: che cosa è il conflitto? Vorrei darvi qui una definizione brutta, ma efficace. Conflitto = problemi. Sì, proprio così, né più né meno. Conflitto = problemi. Un personaggio vive un conflitto quando incontra un problema lungo il suo percorso.

Un po’ poco per essere un principio cardine della drammaturgia, o lo penso solo io?

Eppure il filosofo Karl Popper, pace all’anima sua, sosteneva che la vita consiste in risolvere problemi. Vivere significa affrontare problemi e non trovare mai soluzioni, anzi, sempre secondo Popper, qualora si trovasse una soluzione bisognerebbe fare in modo di capire come rendere quella soluzione nuovamente un problema. Ok, Popper non diceva esattamente questo, ma ci siamo andati molto vicini.

La vita è risolvere problemi, dunque. Questo significa che nel momento in cui non hai più problemi da risolvere non sei più vivo. Giusto? Allo stesso modo, per analogia, una storia si ha quando un personaggio cerca di risolvere dei problemi e, nel momento in cui i problemi sono risolti, non c’è più storia.

Corretto? Sì. Correttissimo… e banalissimo.

Ma se questo è vero, se la storia consiste nel personaggio che affronta dei problemi, allora a sua volta questo significa che il ruolo dello sceneggiatore e della sceneggiatrice è quello di creare dei personaggi, di costruire un mondo attorno a loro e di fare il possibile per rovinargli la vita.

Non so voi cosa ne pensate, ma tutto questo ha un vago retrogusto biblico… troppo biblico per non essere imbarazzante e anche un po’ freudiano.

Da drammaturgo, da sceneggiatore, ma soprattutto da persona che è diventato calvo precoce, mi sembra estremamente riduttivo e avvilente pensare che il mio compito sia quello di mettere i bastoni tra le ruote, in modo sempre più accentuato e fetish ai miei personaggi. Voi cosa ne pensate?

Ad essere sincero, è già da qualche anno che, oltre ad aver accettato la mia calvizie precoce, ho anche elaborato un marcato senso critico nei confronti di due capisaldi della drammaturgia moderna (non contemporanea, occhio!). Uno di questi è il conflitto. L’altro non voglio rivelarlo ancora.

La mia critica parte da una questione ancora più profonda rispetto al conflitto. Ovvero la domanda da porsi non è “che cosa è il conflitto?” bensì “che cosa è una storia?” e “a che cosa servono le storie?”.

Vi anticipo che queste due domande sono delle domande che devono restare domande. Capito?

Sarebbe presuntuoso per me pensare di poter rispondere in modo esaustivo e definitivo a queste due domande, perché sono domande irriducibili, che rimarranno sempre dei quesiti, al di la di ogni assalto della ragione. MA, e ribadisco, MA in quanto drammaturgo, in quanto sceneggiatore e soprattutto in quanto uomo (calvo) voglio dare il mio contributo all’infinito viaggio di queste due domande verso la verità, cercando di portare la mia provvisoria e non definitiva risposta (Popper direbbe falsificabile, ma lasciamo stare).

Che cosa è una storia?

Una storia per me è una testimonianza. Una testimonianza che serve a fissare nella memoria dei deboli la loro identità, serve a mettere in discussione il potere e a ridisegnare l’idea che abbiamo del presente. Quindi una storia è qualcosa che ha più a che fare con il senso di comunità ed è uno strumento privilegiato per chi è a credito nei confronti della vita. Si capisce? No, non si capisce.

Chi soffre. Chi non ha pace. Chi non ha nome e non ha un rifugio. Avrà sempre un posto da regnante all’interno di una storia. Avrà tutti gli occhi su di sé. Avrà tutte le emozioni su di sé. Sarà il centro della storia.

Le persone di potere. Chi vive nella certezza. Chi vive nella comodità. Sarà al contrario uno sfollato, un perditempo, un apolide nel regno delle storie. Sarà invisibile.

Questo perché la storia è una testimonianza, un’arma di chi non ha giustizia e pace. Le storie servono a ristabilire l’equilibrio e a gridare giustizia.

So che questa definizione durerà il tempo di questo articolo. Ma l’avevo annunciato. Sto affrontando due domande “che cosa è una storia?” e “a che cosa servono le storie?” che sono due divinità immortali.

Cambio argomento. (non è vero)

Qualche giorno fa ho visto “Io capitano” di Garrone. Per circa due ore mi sono sentito catapultato nel mondo del protagonista di questa storia, e più sprofondavo nelle complicazioni delle vicende, più dicevo a me stesso: “in questa storia il conflitto è evidente, eppure il nucleo del lavoro non è nel cercare il conflitto. Il conflitto è una conseguenza di qualcosa di più grande. Il conflitto è un effetto della storia e non la causa della storia.”

Quella storia, quel film è potente e struggente perché è una testimonianza, non perché c’è un conflitto (ovvero il protagonista affronta dei problemi). “Io capitano” è la testimonianza, ovvero l’urgenza di dare voce ad un dolore, che fa emergere un conflitto potente (e non il contrario).

Quello che vi sto dicendo è: non cercate il conflitto, cercate ciò che ha bisogno di essere raccontato. Perché quando vi arrovellate su cosa non funziona nella vostra storia, il problema non è nella combinazione degli eventi MA probabilmente il problema è che non state indagando le fragilità, le ingiustizie, le ambiguità contenute in quegli eventi.

È un problema di prospettiva e non di conflitto.

Invece di chiederci, “dov’è il conflitto?”, “che cosa è il conflitto?”, dovremmo chiederci, “chi grida giustizia?”. Se non avete capito granché di questo articolo, ed è probabile, guardate “Io capitano”. Poi mi direte!

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